È un pomeriggio d’estate, devono essere le tre, le quattro. Il caldo mi pesa sullo stomaco: mi sembra come di avere un uomo disteso addosso da giorni.
Sono in dormiveglia da ore, tra il caldo, il fumo, la mente annebbiata, l’ombra degli scuri che entra in camera, il sudore che mi si appiccica addosso mischiato alle lenzuola. Da quante ore sono distesa? Quanti giorni?
La luce arancione filtra dagli scuri, sembra tutto marrone terra bruciata. È tutto immobile: dalla finestra proviene solo un silenzio sordo, fermo.
Guardo in basso: i miei seni in primo piano, il declivio della mia pancia fino all’ombelico, mutande, le gambe e i piedi in fondo. Tutto è ovattato e barcolla, come in un sogno, i contorni sono sfuocati, ma la pesantezza del corpo, il sudore, il calore dell’aria, sono così reali. Persino il sapore agrodolce della mia bocca impastata è così vero. Cos’ho bevuto? Ho fumato?
In sospensione. Mi sento così assente, morbida, ancora calda; credo di aver fatto sesso per tutta la notte: l’eccitazione che mi è rimasta addosso è così vera da contrastare in maniera disarmante con l’ambiente racchiuso in questa stanza.
Si apre la porta, piano, lentamente. Entra un uomo dai contorni confusi, si avvicina al letto e mi porge un bicchiere d’acqua. Bevo avidamente, qualche goccia mi sfugge sul petto e si mischia al sudore e poi alle lenzuola. Quel rivolo sottilissimo di acqua fresca sul mio corpo mi sembra così puro, così definito e lineare, che diventa una saetta di piacere lungo la spina dorsale. Una lama tagliente d’acqua gelida che divide in due il mio corpo. Inizia una lotta tra l’interno e l’esterno: all’interno tutto è in sommossa, tutto vorrebbe muoversi per desiderare e afferrare quell’uomo, prenderlo per possedere. All’esterno è tutto immobile. Un piacere violento s’irradia dentro me, dalla pancia fino alla punta delle dita dei piedi e delle mani. Fuori è tutto fermo.
Mi siedo sul letto, mi sbilancio verso di lui protendendo una mano fino a toccarlo. Gli afferro il braccio ed è tutto vero. Lui mi blocca violentemente con l’altra mano e si divincola veloce. Preme entrambe le mani sulle mie spalle con forza e mi fa stendere. Sono distesa con le gambe che penzolano giù dal letto. Sono inerme: lui è l’unico che può decidere cosa fare. È rimasto in piedi, mi sta di fronte e mi guarda dritto negli occhi. Il suo sguardo mi domina. Il suo viso nasconde un’ondata di piacere; sto solo aspettando che mi prenda ma l’aria è sospesa e lui è immobile. Si piega piano sulle gambe e scompare dal mio campo visivo. Non lo vedo più. Dopo pochi attimi sento la sua lingua calda accarezzarmi il dorso del piede sinistro e la sua mano afferrare lenta l’altro piede per accarezzarne con forza la pianta. Senza rendermene conto comincio ad ansimare. Dopo pochi secondi vedo la sua testa tornare a fare capolino tra le mie gambe: è chino a guardare qualcosa in basso. La sua mano lascia il piede e mi sembra che stia tastando il pavimento alla ricerca di qualcosa. Mi sollevo lentamente e guardo giù. Vedo la sua testa china, la nuca; la accarezzo con forza per sentire le ossa della sua colonna vertebrale sotto le mie dita. Scaccia le mie mani dal suo corpo con durezza. Guardo ancora: mi sta infilando le scarpe lentamente.
Solleva lo sguardo e fissandomi negli occhi comincia ad allacciarmi la scarpa sinistra con una lentezza pachidermica. Ogni gesto è lento ma deciso, come uno spillo infilato nella carne. Stringe forte i lacci e avverto la pressione della pelle della scarpa contro la pelle del piede. Percepisco la costrizione e la dolcezza del contenimento attorno alla pelle. Un’erezione gli rigonfia piano i boxer. Getto la testa indietro e sento il solletico leggero dei miei capelli sulle spalle. Ogni attenzione e ogni energia consumata per allacciare la scarpa, arriva sulla mia pelle; mi sembra di avere addosso una lingua che lentamente si infila in ogni angolo del corpo: dietro le ginocchia, nell’ombelico, dietro l’orecchio, tra le nocche delle mani. È una sensazione così forte da sembrare vera, mi sembra di sentire distintamente la pressione di quella lingua addosso. Guardo ancora una volta in basso: con la stessa lentezza infinitesimale mi sta allacciando anche la scarpa destra. Desidero che non finisca mai. Un liquido caldo e denso stilla piano tra le mie cosce e si appiccica alla stoffa degli slip. Ne sento l’odore lieve e leggermente acre in lontananza.
Le due scarpe sono allacciate e i lacci le stringono forte attorno ai miei piedi. Lui adesso sposta lievemente la mano sulla mia caviglia e premendo risale piano il polpaccio, si ferma un istante coi polpastrelli a fare pressione dietro il ginocchio e poi punta dritto verso l’alto e s’infila tra la stoffa delle mutande e la pelle.
Apro gli occhi di scatto. Vengo ansimando. Mi tocco attorno e sono avvolta nel piumone con i piedi scoperti. Guardo fuori dalla finestra: nevica.
Scritto da Blu Virginia