L’intervista

Il civico era il 22 e l’orario corretto. Ma lui ancora non era arrivato. «Che palle questi chef che si fanno aspettare» avevo pensato. Il tempo si stava già guastando e di lì a poco avrebbe cominciato a piovere «e io ovviamente ho l’ombrello nell’altra borsa».

Un uomo sui 38 anni entrò nella pasticceria guardandosi intorno. Era lui. Gli feci un cenno con la mano, ero già imbarazzata nel trovarmelo davanti. «È da molto che aspetta?» disse avvicinandosi. Occhi verdi, barba lunga ma ordinata, il tatuaggio sul braccio che fuoriusciva dalla manica del maglione tendendomi la mano. «No, non si preoccupi. Anzi, la ringrazio per avermi concesso quest’intervista con così poco preavviso» avevo risposto cercando di darmi un tono da giornalista seria. «Tanto sempre 6 euro lordi mi darà il giornale come compenso» avrei voluto rispondere, ma evitai.

Ordinammo due caffè, accesi il registratore, presi il taccuino con sopra alcune domande e iniziammo l’intervista. Cosa pensa del nuovo programma televisivo che andrà a condurre, quali sono i suoi sogni, la notorietà l’ha cambiata? Le solite domande di cui si sanno le risposte.

Spento il registratore iniziò a diluviare. «Spero che almeno lei abbia l’ombrello» gli dissi scherzando. «In realtà abito a due portoni di distanza. Lei non lo ha portato con sé?». Feci cenno di no e ci dirigemmo verso l’uscita. La pioggia era talmente forte che lui iniziò ad alzare la voce «So che le sembrerà poco ortodosso, ma se vuole posso ospitarla a casa finché non smette. Avrei delle mail da inviare». Accettai, avrei avuto più elementi per l’articolo: la disposizione della casa, la sua cucina o cose così.

Il tempo di correre e oltrepassare i due portoni che già eravamo zuppi. Entrai in casa e subito mi stupì l’odore della menta, ne aveva una piantina accanto al frigorifero. Una cucina open space con davanti il divano ad angolo che sembrava comodo. «Dammi il cappotto, sei fradicia. Posso darti del tu?». «Certo, se non ti dispiace toglierei anche le scarpe» risposi. Mi diede una mano a sfilare il cappotto che gocciolava. E lì accadde una cosa. Le sue dita sfiorarono il mio collo ed ebbi la sensazione che mi fissasse. Meno male che avevo indossato la camicetta buona. Mi propose una tazza di thè, iniziammo a parlare e le formalità sparirono.

Andò a cambiarsi e tornò con una maglietta degli AC/DC, i pettorali erano molto più visibili. Il thè era ottimo, tra un sorso e l’altro ci osservavamo mentre fuori la pioggia continuava a scendere. Mi alzai dal divano e misi la tazza nel lavello della cucina «ma no, lascia stare faccio io» rispose. Avevo addosso i suoi occhi, li sentivo. Si era alzato per posare anche la sua di tazza. Io rallentai e mi passai la mano libera sui capelli, spostandoli e lasciando una parte di collo nudo. Non so perché lo feci. Ma ne avevo voglia. Posammo contemporaneamente le tazze nel lavello, in silenzio, con l’aria che era diventata più intensa. Ci guardammo e lui lentamente si avvicinò alla mia bocca. Io la aprii. Ma non mi baciò, rimase fermo a guardarmi. Furono le sue mani a muoversi.

Mi avvicinò a sé con uno scatto, le sue mani sui miei fianchi e la bocca sempre ferma. La mano destra passò sulla mia fronte, la accarezzò e con le dita scese sugli occhi e sulle labbra schiuse. Gli leccai le dita. La sua mano sinistra iniziò a toccare il mio sedere, strinse i glutei mentre il dito medio si infilava in mezzo alla cavità. Mi venne da ansimare. Ed è lì che mi baciò. La sua lingua si incrociò con la mia, le mie mani andarono prima sui suoi capelli, poi sul sedere, e mi spinsi ancora più forte addosso a lui. Volevo sentirlo.

Mi baciò quel lato del collo nudo mentre la sua mano destra premeva sul mio seno. Improvvisamente la mano che si trovava sul mio sedere passò sotto la coscia, la portò attorno alla sua vita e dopo pochi secondi sollevò anche l’altra. Mi poggiò accanto al lavello. La mia mano andò sul suo membro, duro e gonfio dentro i jeans. Ci guardammo, adesso anche lui aveva iniziato ad ansimare. Gli levai la maglietta, lui mi sbottonò la camicia senza mai distogliere gli occhi. Le sue mani abbassarono il reggiseno e dopo aver ammirato i miei seni iniziò a leccare prima un capezzolo e poi l’altro. Succhiava e leccava ed io non potevo smettere di guardarlo. Mi portò sull’angolo del divano. I baci erano sempre più lunghi e intensi. Non appena mi posò lo scostai alzandomi in piedi. Gli slacciai la cintura guardandolo, gli abbassai la zip dei jeans guardandolo, gli spinsi giù le mutande guardandolo. Presi con la mano destra il suo pene in piena erezione e con la sinistra gli passai le dita sulle labbra, iniziò a succhiarmi un dito. La mia mano destra seguiva il ritmo della sua bocca. Aumentai io il ritmo e sentii che ansimava più forte. Decisi di fermarmi e lo spinsi verso il divano dove si sdraiò completamente.

Le vene del suo pene iniziavano ad essere più evidenti. Con le mani ai lati dei suoi fianchi leccai la punta guardandolo e, non appena strinse i denti di piacere, lo infilai in bocca fin dove potevo. Lo sentii bisbigliare «sì». Iniziai ad andare su e giù con la bocca, alternando con la lingua. Mi prese i capelli tirandoli su a coda, voleva guardarmi. Io già lo guardavo. Fu lui a farmi smettere, delicatamente mi spostò avvicinandomi a lui e prese a baciarmi selvaggiamente, mordendomi le labbra, mentre con le mani mi sfilava i pantaloni e le mutandine. La sua mano sinistra massaggiava con forza il clitoride e con due dita entrava nella vagina. Ero completamente bagnata. Tremavo di piacere da mancarmi il respiro.

Bastò un sussulto e, guardandomi, tolse le dita facendo entrare il suo pene. A cavalcioni su di lui, iniziò a spingere forte le mani sul mio sedere in avanti, io stessa ponevo le mie di mani sulle sue muovendo il bacino. I suoi occhi sembravano ancora più verdi e la sua lingua non smetteva di leccarmi. Non so bene quanto ci impiegai ma l’orgasmo arrivò quasi subito. Gridai e risi allo stesso tempo. Gli passai la lingua sulle labbra e le mani sul collo. Lentamente mi alzai e mi inginocchiai nuovamente leccando il suo pene e poggiandolo tra i seni. «Cazzo», impazzì.

Aveva smesso di piovere e uscita dal portone presi il cellulare, un messaggio del mio caporedattore diceva «Com’è andata? È stato uno snob, vero?». Digitai: «Ma no, dai. Dopotutto è stata una bella intervista».

-Ranma

2021-01-25 MySecretCasehttps://www.mysecretcase.com/static/frontend/MSC/mysecretcase/it_IT/images/mysecretcase-shop-online-piacere-donne.svg https://blog.mysecretcase.com/wp-content/uploads/2020/11/lintervistablog-2.jpg