Cordoba XIII secolo.
Un carretto carico solo di speranza e pochi sacchi di semenze attraversa l’arco moresco che delimita le mura della città dell’emiro omaiade.
È la famiglia ebrea del commerciante Melchisedec, in fuga dalla persecuzione cristiana in atto nelle terre del papa.
Melchisedec, sua moglie Rachele,la figlia diciasettenne Miriam e tre piccolini, giunti stremati ma in salvo da conversione e inquisizione domenicana. Salvi ma sempre in terra ignota e di fede diversa. Dopo diverse settimane e mesi si accorgono che nessuno a Cordoba li osserva con l’odio riservato in Spagna alla loro stirpe.Rinasce in loro perfino la gioia dell’assemblea in sinagoga e un piccolo benessere da troppi anni ormai dimenticato.
È soprattutto la giovane Miriam a rinascere, all’alba della vita e dei sensi, che della vita sono le perle.
Non le dispiace di aver lasciato lontano il suo cugino e promesso sposo, troppo brutto e saccente con quella sua irritante mania d’osservare alla lettera ogni passo delle sacre scritture.
Si, qui nelle terre del Profeta deve portare il velo ma il solo non sentirsi più maledire ad ogni passo le ridona sorrisi e gioia.
Una mattina di giugno Miriam si prese perfino la libertà di perdersi lungo le rive del Guadalquivir,in una delle anse dove il grande fiume, prima di continuare la sua corsa verso Siviglia, sembra rallentare e calmarsi, quasi a riposarsi. Questo era il suo luogo segreto, dove poteva perfino giacere distesa e nuda per mattine intere,con il fiume a bagnarle i piedi e l’erba alta a nascondere la sua libertà.
Il suo segreto non durò molto.
Fu Miriam ad accorgersi del velo di seta blu che il vento aveva fatto volare presso di lei.Presa dal panico non seppe che fare sulle prime, poi decise di rivestirsi e di dirigersi nel punto da cui poteva essersi alzato quel lembo di seta. Quasi scoppiò a ridere quando vide una ragazza distesa, affondata nell’erba alta e con la pelle coperta solo dai raggi del sole. Rise per la convinzione infantile che l’aveva fatta illudere d’essere la sola pazza, in quel coacervo di mondi oppressivi, a sentirsi lontana da presenze altrui.
Risata trattenuta a stento ma abbastanza udibile da essere sentita dalla proprietaria del velo di seta blu. Un grido di altrettanto panico fu la reazione della ragazza, panico che si spense all’istante, non appena le fu chiaro che l’intruso era in realtà un’altra ragazza.
Miriam le restituì il velo spiegandole come ne era entrata in possesso e della paura che lei stessa aveva provato. Risero entrambe questa volta.
Miriam fece poi quasi un gesto di saluto, decisa a tornare nel suo angolo,quasi timorosa stavolta di aver guastato la tranquillità della ragazza, ma quest’ultima le chiese di restare,e anzi, di portare le sue cose lì da lei, anche perchè occupando lo stesso piccolo angolo avrebbero continuato ad essere meno visibili ad occhi indiscreti.
Jadziah, questo era il suo nome, di pochi anni più grande di Miriam ma con più peso sul cuore. Era la figlia di un dignitario della corte moresca e in quanto tale promessa sposa ad un uomo dell’età del padre, dignitario anch’egli ma nel palazzo del Califfo di Granada. Jadziah, dal sorriso spento e dalla pelle ambrata, fiore arabo destinato ad esser reciso di lì a poco per la consuetudine dei secoli. Con il sorriso di Jadziah si spense pure quello appena risorto di Miriam, per nulla sorpresa o in difficoltà nell’immedesimarsi in una situazione che lei conosceva benissimo, stato d’animo compreso. Fu l’istinto a muovere una mano verso il viso della sua nuova amica, carezza questa che Jadziah accolse come un balsamo rigenerante e che, reclinando la testa verso la spalla tentò di trattenere.
Tornò il sorriso ad entrambe e con esso la voglia di scacciare i brutti pensieri tuffandosi nel fiume, che riposando in quel tratto, sembrava attenderle. Furono molte le mattine passate insieme, tra libertà, voglia di gridare la propria rabbia al mondo,risate insieme e inevitabili tristezze.
Miriam non aveva il coraggio di chiedere all’amica quando sarebbe dovuta andare in sposa a quell’uomo di Granada, ma dai sempre più frequenti silenzi di Jadziah, dalle sue perenni lacrime appese agli occhi neri, capiva che il momento era prossimo. Nel suo piccolo tentava di strapparle un sorriso con una battuta, una carezza o solleticandole la pianta dei piedi con uno stelo d’erba dopo averle sfilato le sue buffissime babbucce a punta.
A questo gioco Jadziah non resisteva e ,sebbene di risata indotta da altro piuttosto che dal suo stato d’animo,si prestava al gioco, ora ritraendo i piedi dalla tortura di Miriam, ora riavvicinandoglieli, fino ad appoggiarli sulle spalle dell’amica che,vedendo Jadziah finalmente tornare al sorriso,si sentì talmente felice e gratificata che dal cuore le salì d’istinto non più una carezza a quel viso posto troppo lontano, ma, accostando le labbra ad uno dei piedi della sua amica araba ci posò un bacio…
Jadziah nel sentire il contatto di quelle labbra si voltò di scatto, senza però sottrarre il piede al bacio di Miriam…la sorpresa di quel gesto affettuoso si sovrapponeva al piacere che ne provava,che non era più solo una carezza sul viso ma qualcosa di più e di sconosciuto…fissava inebetita Miriam mentre questa continuava ad occhi socchiusi a baciarle la pianta del piede e ognuna delle dita…perfino il fiume e le foglie degli alberi intorno smisero di fare rumore…muti loro come mute erano le due ragazze…nel riaprire gli occhi Miriam tornò a guardare la sua amica trovandola con le labbra serrate tra i denti e gli occhi sbarrati…fu quasi sul punto di scusarsi Miriam…e nel cercare le parole adatte a spiegare cosa le era accaduto lasciò scivolare il piede di Jadziah,che intuendo l’imbarazzo dell’amica ebrea le sorrise e le fece cenno di non dirle nulla…si alzò e le si sedette accanto fino a parlarle occhi negli occhi…dicendole che di quei baci lei aveva solo sentito parlare alcune volte nei racconti delle zie o delle conoscenti che, a causa della troppa vicinanza con le serve e le ancelle e della brutalità delle notti passate a soddisfare voglie dello sposo/padrone,finivano per preferire i soli momenti di tenerezza passati con le prime….e che i baci che aveva appena ricevuto forse erano questo…e che dall’autunno prossimo porterà a Granada, blindati nel suo cuore questi baci dolcissimi…
Alchè furono gli occhi di Miriam questa volta a velarsi di lacrime appese…ma trovò la forza di dirle che,seppure fossero gli ultimi momenti insieme che Jadziah avesse portato via con se,quei baci quasi rubati non sarebbero stati né i soli e tantomeno gli ultimi…
Prese dolcemente il mento della sua amica e senza dire niente altro le posò un bacio sulle labbra…e poi un altro ancora…fino a che la lingua dell’una fosse preda della lingua dell’altra, fino a che piccoli baci si fusero in uno soltanto…lunghissimo…dove le lacrime della tristezza fecero posto a quelle dell’emozione…scivolando fin sulle labbra già umide della saliva scambiata con quel bacio senza fine….abbracciate e nude in quel nido d’erba scoprirono la gioia di darsi vicendevolmente un piacere che solo fino ad allora avevano provato in solitario e nel chiuso delle rispettive stanze…scoprirono che il fiore dell’altra aveva lo stesso odore dell’altra…scoprirono che la fusione dei loro corpi le avrebbe rese inscindibili e oltre ogni prossimo maledetto autunno ed i mesi e gli anni a venire…scoprirono l’amore e la bellezza di dirselo…distese e felici…e poi Granada non è così lontana,solo un giorno di cavallo…e Allah e Yawhe sono stelle dello stesso firmamento…e….e conterò i giorni fino a che non ti rivedrò Miriam…
Chiusero con un bacio talmente bello che perfino il Guadalquivir si decise a lasciarle sole e a riprendere la sua corsa verso Siviglia.