Il Museo della Contraccezione e dell’Aborto è nato a Vienna nel 2003 per volontà del dott. Christian Fiala, che spiega le sue motivazioni così: “Come medico potevo informare ed educare un numero limitato di persone a proposito della loro fertilità. Come scienziato posso raggiungere un bacino d’utenza maggiore, ma solo attraverso la costituzione di un museo è possibile diffondere la conoscenza sui metodi contraccettivi e gli aborti medicalizzati su scala globale.”
L’obiettivo del museo è spiegare la correlazione tra sessualità e fertilità. La storia di questa relazione è stata spesso macchiata dai disperati tentativi di separare questa connessione: sono raccolti 2000 oggetti che donne e uomini hanno storicamente usato per regolare la loro fertilità e non avere figli, alcuni di questi metodi sono atroci e hanno causato la morte di moltissime donne e bambini.
Avere un figlio? Tra la morte e la vita.
Christian Fiala sostiene che una donna, prima dell’introduzione di metodi contraccettivi quali il preservativo e la pillola, rimanesse incinta 15 volte nel corso del suo periodo fertile. Mediamente. Probabilmente più di quanto lei e il partner non desiderassero. Mettere al mondo un bambino è sempre stato considerato più vicino alla morte che alla vita: la morte precoce del neonato causata da problematiche che non venivano rilevate durante la gravidanza oppure per complicazioni durante il parto che potevano mettere a rischio anche la vita della madre. Nascere era potenzialmente molto pericoloso a causa delle condizioni di vita igienico-sanitarie. Inoltre non erano conosciuti metodi per scoprire tempestivamente se era avvenuto un concepimento. Si poteva intuire solo dalla crescita della pancia, ma a quel punto il feto era già ben formato.
Aborto come metodo contraccettivo d’emergenza?
Questione di sopravvivenza? Questione di scelta? Questione di ignoranza? Questione di mancanza di reali metodi di controllo delle nascite? Non intendo sostare su quali siano le reali motivazioni che hanno portato la donna ad abortire nei secoli. Quello che vogliamo osservare è che sono largamente diffusi i metodi per abortire e questi metodi sono presentati al Museo di Vienna per permettere al grande pubblico di essere perlomeno consapevole di ciò che è accaduto e tuttora accade in molti Stati. Venivano impiegati strumenti e sostanze, vediamoli assieme.
Strumentazioni casalinghe
Abortire, per qualsiasi ragione, era illegale e immorale. Per questa ragione gli strumenti non erano medicalizzati, ma anzi erano oggetti con altre funzioni che venivano reinventati: come la lavatrice a vibrazioni della Bosch, per faccende domestiche e non solo. Diffusa tra le donne della Germania dell’Est, veniva posata sul ventre, grazie alle oscillazioni, riusciva a indurre delle contrazioni dell’utero e indurre un aborto. Un altro modo era cercare di rompere il sacco amniotico con dei bastoncini di legno. Questi provengono dall’Africa e sono stati rimossi chirurgicamente da Christian Fiala dal ventre di una donna che era giunta in ospedale per un’emergenza: stava cercando di abortire da sola.
Avvelenarsi per avvelenare il bambino
Ogni credenza supportata dall’ignoranza e dalla disperazione ha permesso che le donne si iniettassero le più disparate sostanze per espellere il feto. Ma tra tutte la più usata era il sapone. Economico e facilmente disponibile. Queste vite di donne in tempo di guerra viene narrata in Un Affare Di Donne (1988), un film che racconta la vera storia delle donne e dell’occupazione nazista, uomini al fronte e prole troppo numerosa. Marie-Louise Giraud fu un’abortista per necessità, usava doccette e sapone. Fu una delle ultime donne ad essere ghigliottinata in Francia, il 30 giugno 1043.